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Sito archeologico di Baalbeek Libano

 

BAALBEK

 

La costruzione più antica del mondo.

Da chi fu costruita? E come?

 

Il complesso megalitico di Baalbek, in Libano, rappresenta per molti aspetti un vero e proprio enigma architettonico e culturale.

Fu realizzato con l’ausilio di strumentazioni tecnologiche?

Furono davvero i romani a porre in opera il Trilithion o, invece, continuarono a costruire su una struttura preesistente realizzata da una civiltà sconosciuta?

Le rovine di Baalbek si trovano a circa 90 km da Beirut, Libano, nella valle della Beqa’a, ai piedi delle montagne dell’Antilibano in una valle in cui si originano l’Oronte, a nord, e il Litani, che scorre da sud a ovest. Il sito godeva, soprattutto in epoca romana, di grande importanza tanto che veniva considerato una delle meraviglie del mondo. Ma cosa rende così speciale questo luogo?

Ebbene tralasciando per un momento le implicazioni di ordine religioso, ciò che rende straordinario questo complesso monumentale è la presenza di numerosi megaliti, inseriti nella struttura del tempio di Giove. La maestosità del tempio era tale, che gli imperatori romani arrivarono a percorrere fino a 2.500 chilometri per consultarne l’oracolo e godere dei suoi vaticini.

Il sito di Baalbek pone molti interrogativi e gli studiosi sono divisi tra coloro che considerano l’intero complesso come un prodotto delle maestranze romane, coloro che, invece, ritengono che il podio su cui poggia il tempio di Giove sia di origine fenicia, e infine coloro che lo considerano ancora più antico, forse appartenente alla cosiddetta civiltà megalitica di cui si ritrovano le tracce sparse in tutto il mondo, dall’Egitto al Mesoamerica.

Qualunque sia l’indirizzo d’indagine in tutti e tre i casi rimane insoluta la spiegazione di come sia stato possibile trasportate i megaliti dalla cava fino all’acropoli, sebbene il tragitto non sia molto lungo. Le asperità del terreno e il peso dei blocchi complicavano molto il trasporto, come fu possibile, quindi, mettere in sede gli enormi blocchi in maniera così perfetta che tra loro non si può infilare neanche la lama di un coltello?

 

IL SITO

Le tradizioni locali che risalgono fino al Medioevo, specificano che il complesso fu costruito durante il regno di re Salomone, sulla base del confronto tra i blocchi megalitici e quelli che presumibilmente furono impiegati per la costruzione del Tempio di Salomone.

Le fonti arabe, infatti, come Al Idrisi, viaggiatore e geografo arabo vissuto tra il 1099 e il 1166, affermano proprio che “il Grande, (tempio) dalla strabiliante apparenza fu costruito al tempo di re Salomone”. Della stessa convinzione era anche Beniamino di Tudela, (ca. 1160) viaggiatore ebreo, che nel Sefer massa’ot, visitando Baalbek scrisse: “Questa è la città che è menzionata nelle scritture come Baalath, nei pressi del Libano, che Salomone costruì per la figlia del Faraone.”

Una versione confermata anche dal patriarca maronita Estfan Doweini, il quale riferisce che “La tradizione ci dice che la fortezza di Baalbek è la costruzione più antica del mondo.

Caino la costruì nell’anno 133 della creazione, durante una crisi di demenza feroce. Le diede il nome di suo figlio Enoch e la popolò con i giganti che erano stati puniti dal diluvio per la loro iniquità”. Secondo le sacre scritture la cittadella cadde in rovina al tempo del diluvio e fu successivamente ricostruita dai giganti sotto il comando di Nimrod, il grande cacciatore, e re del paese di Sennar (Genesi 10, 32). Altre leggende narrano che Nimrod ribellandosi al suo dio costruì la torre di Babele.

 

I MEGALITI

Chiunque abbia costruito Baalbek, la prima cosa che stupisce, visitando questo colossale complesso architettonico è la sua estensione e la sua monumentalità, infatti, i tre megaliti che compongono il cosiddetto Trilithion ovvero le “tre pietre”, sono alti come una costruzione di cinque piani.

Le pietre furono tagliate e trasportate da una cava non molto distante, dove in un momento successivo, fu ritrovato un quarto monolite, la cosiddetta Hajar el Gouble, Pietra del Sole, oppure Hajar el Hibla, o pietra della partoriente, ancora imprigionata nella cava e pronta per essere separata. Le sue dimensioni sono enormi: 21 metri di lunghezza, 10 di altezza e uno spessore di 5 m, il peso stimato è di circa 1.200 tonnellate e si ritiene che venne lasciata in sito in seguito a un errato calcolo delle dimensioni.

Il Tempio di Giove era davvero imponente, le sue colonne erano alte fino a 32 metri, con una larghezza pari a circa 4 metri. Purtroppo, solamente 6 di queste splendide colonne hanno resistito ai secoli. Incredibile è l’imponenza dei blocchi su cui poggia il tempio, che stando alle stime dei ricercatori, attualmente nessun macchinario sarebbe in grado di mettere in opera.

Tutta la sua imponente struttura, infatti, è costituita da blocchi di pietra tra i più pesanti che si possono incontrare al mondo. Nel muro di sudest esiste una fila di nove blocchi di granito dove ciascuno ha un peso di 300 tonnellate, con una dimensione di 10 metri di larghezza per 4 di altezza e 3 di profondità. Nel lato opposto esiste un fila di 6 blocchi aventi le medesime caratteristiche, che fanno da base ai tre giganteschi blocchi del Trilithion.

E’ stato chiesto a Bob MacGrain, direttore tecnico della Baldwins Industrial Services, una delle più importanti industrie inglesi, di provare a spostare con i propri macchinari la Pietra del Sole. Ebbene, si pensò di utilizzare una gru, la Gottwald ak912, in grado di lavorare con pesi fino 1.200 tonnellate. Il macchinario, però, risultò inutile al momento del trasporto, in quanto tali gru non possono muoversi durante il carico di un tale peso, dunque, sarebbe stata necessaria una macchina dotata di cingoli.

E’ evidente quanto sia difficoltoso realizzare oggi una simile opera, e certamente di più con l’impiego di strumentazioni non tecnologiche.

La spiegazione risulta molto ardua da individuare.

Alcuni ricercatori, però, hanno sottolineato che non esisterebbe alcun mistero a Baalbek, in quanto gli enormi blocchi sarebbero stati trasportati utilizzando dei rulli di legno, su cui sarebbero scivolati i megaliti, in un secondo momento sarebbero stati messi in opera con l’ausilio di terrapieni.

Purtroppo, questa spiegazione rimane priva di logica se pensiamo che per realizzare un simile trasporto, ammettendo che i rulli non si sgretolino sotto il peso, occorrerebbero circa 40.000 uomini per muovere un solo monolite.

Quindi, il quesito: in che modo, furono poste in sede le enormi pietre, e chi ne fu l’artefice?

L’attribuzione ai romani è valida per la costruzione del tempio di Giove, ma per quale motivo avrebbero dovuto tagliare e spostare tali megaliti, impiegando uno sforzo straordinario di uomini e di mezzi per spostarli, quando avrebbero potuto tagliare i blocchi in dimensioni minori? In più, una piccola imperfezione verticale nel monolite avrebbe potuto causare più danni strutturali di un’imperfezione distribuita su più blocchi di pietra. Dunque?

A tale proposito nel 1980, lo studioso francese Friederich Ragette, nel suo lavoro intitolato Baalbek, suggerì che l’impiego dei blocchi monolitici rispondeva a una tradizione cananea, secondo la quale i podi dovevano consistere al massimo di tre livelli di pietre, e visto che questo podio era alto 12 metri, significava utilizzare necessariamente i monoliti. Ipotesi molto discutibile. In più sempre Ragette, suggerisce che i romani tagliarono nella cava i blocchi con piccozze di metallo e con l’impiego di una sorta di macchinario da estrazione in grado di lasciare su molti blocchi segni di incisioni circolari larghi fino a 4 metri di raggio. Un enigma nell’enigma, in quanto oltre a dover spiegare in che modo i romani riuscirono a trasportare i blocchi affiora il quesito di che genere di macchinario si trattava in grado di lasciare segni circolari sulla pietra? Forse una sega circolare?

 

CONCLUSIONE

In conclusione, possiamo certamente evidenziare che il sito di Baalbek rappresenta per molti aspetti un vero e proprio enigma architettonico e culturale, in quanto nulla si conosce dei suoi costruttori.

Inoltre, il mistero si complica analizzando la superficie della Grande Corte. Lo strato superiore, infatti, presenta un livello di pietra vetrificata, un fenomeno che forse fu provocato dall’esposizione a una sconosciuta fonte di calore, o dall’impiego di trapani o seghe circolari che impiegavo il calore.

Purtroppo, tra le molte interpretazioni proposte nessuna sembra spiegare in maniera esaustiva né le modalità, né gli strumenti impiegati e tanto meno gli autori di questa monumentale struttura megalitica

Selezionato da : http://xoomer.virgilio.it/silvano/misteri114.html

Roma 10 ottobre 2011


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